Siamo in Via Galvani, 11 • Roma (Testaccio) | tel. 327.8612655

Siamo in Via Galvani, 11 • Roma (Testaccio)
tel. 327.8612655

Lo sai che... con 60 euro di spesa la spedizione è gratuita?

Piatto Romano: il vicinato buono

Le trattorie di Testaccio forse riescono a raccontare meglio di altre realtà la vocazione popolare e operaia della zona. Da fine ‘800, fino alla dismissione avvenuta nel 1975, il quartiere ha fornito mano d’opera al mattatoio. È praticamente qui che nasce la tradizione del “Quinto quarto” ossia l’utilizzo delle parti di scarto, che costituivano i pasti degli operai, lavorate nelle cucine limitrofe.

Alcuni di questi locali esistono dall’inizio del secolo scorso, altri sono stati aperti successivamente e alcuni sono recentissimi. Certi nomi sono famosi da sempre, altri lo stanno diventando. Ce n’è uno in particolare a cui l’Emporio è particolarmente legato, per diversi motivi, che vi vogliamo raccontare.

Piatto Romano è per noi, in qualche modo, una specie di estensione del negozio. Una sorta di laboratorio dove vengono accolti consigli e dove spesso vengono testati nuovi prodotti e abbinamenti.

Il menù è molto ricco e cambia spesso, in funzione della stagione, ma anche di ciò che piccoli produttori riescono a rendere reperibile in quel periodo. È la nostra trattoria romana, con un qualcosa in più, che non ci stanchiamo di consigliare.

C’è da dire, prima di tutto, che “Piatto Romano”, contrariamente a quanto il nome può far pensare, offre un’ampia e variegata scelta dove non è solo la carne a giocare il ruolo di protagonista: le verdure e gli ortaggi, rigorosamente di stagione, vengono serviti in un menù ricco di antipasti, primi piatti e contorni che ci permettono di consigliare il ristorante anche a un pubblico vegano.

Andrea, il proprietario, ci spiega come nasce la sua passione per la cucina e le spezie raccontandoci delle vacanze e delle passeggiate che da bambino lo portavano intorno al lago di Campotosto, in Abruzzo dove, all’età di tre anni, inizia a raccogliere funghi, ortaggi, radici e soprattutto erbe aromatiche. Un’esperienza fondamentale nella formazione sensoriale, che lo rende particolarmente portato all’utilizzo di spezie e aromi.

L’affinità tra la sua e la nostra attività possiamo riassumerla in due punti fondamentali: da una parte un utilizzo delle spezie non per stupire o confondere i commensali, piuttosto per esaltare e valorizzare le materie prime, scelte meticolosamente; dall’altra l’apertura allo scambio di esperienze, alla contaminazione come motore che porta alla conoscenza. Non ci stancheremo mai di ripetere che quella che oggi chiamiamo con riverenza “tradizione” non è altro che il frutto di viaggi, scambi ed esperimenti avvenuti in passato. Roma, in particolare, ci racconta come la cucina e la gastronomia fossero intrise di esperienze, materie e suggestioni provenienti da ogni angolo di quello che era allora il mondo conosciuto.

In una giornata infrasettimanale, calda ma ventilata, chiudiamo bottega all’ora di pranzo, attraversiamo la piazza con la fontana delle anfore e ci sediamo poco distanti in via Bodoni, 62.

Iniziamo il nostro pranzo con una colorata tavolozza composta da tre antipasti vegetali: Zucchine gialle di Sperlonga tagliate a fettine spesse, appena scottate e ancora croccanti, con un condimento a base di olio, aceto, prezzemolo e senape in polvere: una dolcezza esaltata dalla leggera piccantezza della senape e dall’aceto;

 

Melanzana sigaretta ai pinoli, dalla lavorazione semplicissima: solo materia prima e il gusto dolce/amaro della melanzana saltata in padella che incontra la nota balsamica dei pinoli;

Portulaca selvatica in salsa di alici e sommacco: la portulaca è una pianta succulenta che cresce praticamente ovunque, ma ancora poco diffusa dal punto di vista alimentare; è ricca di vitamina C e Omega 3 e ha una consistenza carnosa e leggermente gelatinosa che si abbina bene con la salsa acidula e agrumata sostenuta dal sommacco, spezia protagonista nella cucina mediorientale, che cresce spontaneamente sottoforma di fiore composto a sua volta di piccole bacche; ne troviamo un’eccellente varietà anche in Sicilia, dove da poco inizia a essere raccolta e trasformata in spezia (prodotto di cui siamo orgogliosissimi); l’alice, con la sua nota sapida e iodica, è l’unica concessione presa dal mondo animale a questo piatto eccezionalmente bilanciato nei sapori e nelle consistenze.

Proseguiamo assaggiando uno dei classici primi della cucina romana, Spaghettoni cacio e pepe selvatico del Madagascar. Qui è il pepe a dare una sterzata, che cambia completamente tono a un piatto tradizionale. Un pepe semplicemente essiccato al sole che mantiene tutti i profumi di sottobosco, dal legno al muschio, dalle radici ai funghi. Qui sono forti le note vegetali, che si lasciano abbracciare dalla sapidità e la cremosità del pecorino, insieme alla consistenza perfetta della pasta.

Il tempo e la pazienza, che servono per rendere l’aglio morbido dolce e cremoso dopo il processo di fermentazione, sono premiati nei Tagliolini all’aglio nero fermentato di Voghiera che seguono nel nostro personale menu. Perdendo quasi completamente l’allicina – il principio attivo che lo rende pungente e indigesto – l’aglio libera aromi che ricordano la liquirizia e l’aceto balsamico.

Passando ai secondi, è il momento dello Sgombro di Gaeta alle erbe: un pesce azzurro sano, vicino ed economico, dalla carne morbida ma compatta, nobilitata dalle erbette aromatiche.

Saranno le note resinose di un pepe tra i meno conosciuti, insieme al timo, che creeranno un fondo di cottura, una “culla”, al Pannicolo di cavallo al pepe di Cubebe. La nomenclatura delle macellerie, avendo origine popolari, risponde spesso a termini dialettali: quello che Roma si chiama pannicolo è praticamente il diaframma, un taglio di scarto, che in realtà cotto nella maniera adeguata rimane tenero e saporito.

Concludiamo con tre dessert. Nessuno dei tre, ci teniamo a sottolineare, è particolarmente dolce: anche in questo caso si tende a dare spazio alle caratteristiche uniche degli ingredienti principali.

La Foresta Romana è una rivisitazione alleggerita della celebre Foresta nera: un budino, senza addensante, di cioccolato fondente Valrhona  Guanaja al 70%, dal gusto deciso ma non particolarmente amaro, insieme a panna e ciliegie marasche. Cos’altro?

La Panna cotta al latte di mandorla, crumble e pepe rosa, è un dessert difficile da descrivere: un abbinamento azzardato per un delicato equilibrio tra consistenze, dolcezza e acidità.

Il terzo dolce ha, per chi scrive, una sorprendente potenza evocativa: portando il cucchiaio alla bocca e chiudendo gli occhi si torna nella stanza quasi fiabesca di quella zia anziana, che tutti chiamavano “signorina” perché non si era mai sposata. Tornano dal passato le caramelle Rossana, le orchidee, i centrini ad uncinetto e un comò pieno di bottigliette. E ancora flaconi con colonie e profumi con lo spray a pompetta: stiamo gustando la Crema di lavanda con fave di cacao e arancia. Ci vuole una sensibilità non comune per tirar fuori un dessert del genere.

Si ringrazia come sempre martinacaroliphoto, per la professionalità e la calma con cui riesce a fotografare piatti golosi e invitanti prima di assaggiarli.

 

Condividi:

VOGLIA DI LEGGERE?

L’Emporio Avanvera

AVANVERA era il nome di uno dei cocktail proposti nella Taverna del Santopalato, il primo ristorante futurista aperto a Torino, agli inizi degli anni ’30 del secolo scorso, che ha ispirato nome e atmosfere all’ormai

Leggi Tutto »