Hamburger, ossia originario di Amburgo, è il nome dato dagli americani agli immigrati tedeschi che arrivavano nel Nuovo Mondo all’inizio dell’ ’800, partiti per lo più dal principale porto della Germania. Erano originarie di Amburgo anche loro le polpette di carne, conservate durante il lungo viaggio, e poi diventate, appunto, hamburger, inserite in un panino oppure al piatto: uno dei pasti più diffusi del Nord America. Degli Italiani mangiaspaghetti, quindi, e dei tedeschi mangia polpette si parla nel laboratorio di Bottega Liberati, durante il nostro secondo incontro.
Non solo le spezie, per condire e arricchire il primo hamburger, per il quale Roberto si ispira alla tradizione giudaico romanesca. L’idea è quella di creare una versione rielaborata del polpettone di carne con frutta secca.
Si scelgono diversi tagli di carne bovina, di diverse consistenze, per ottenere l’amalgama ideale. Si usa, quindi, pancia, punta di petto, collo e copertina.
È curioso come la macelleria Italiana – ci racconta Roberto –, che in tutto il territorio nasce in contesti popolari come i mattatoi, non abbia un’unica “nomenclatura” e che quindi i nomi dei tagli di carne appartenenti a usi e tradizioni dialettali, possano cambiare da regione a regione. Alla carne si aggiunge pane bagnato in acqua, castagne bollite, nocciole, prugne, pinoli, mandorle, noci, pistacchi e albicocche, inoltre si condisce con scorza di limone, olio d’oliva, poco aceto, sale, pepe, noce moscata, uno spicchio d’aglio tritato e del prezzemolo.
Per l’hamburger di suino si lascia spazio, quasi esclusivamente, alla materia prima del maiale nero Mangalitza. Si tratta di una razza originaria dei balcani e dell’Ungheria, allevata in stato semibrado nel Viterbese: maiali robusti dalle setole folte e ricce, le cui carni grasse e tenere si adattano a ogni tipo di lavorazione. Si tratta solo di esaltarle ulteriormente aggiungendo un pizzico di finocchiella e un tocco di affumicatura, con sale Hickory e Pimenton.
Anche durante la preparazione dell’hamburger di pollo, Roberto ci tiene a raccontarci la storia e l’importanza della materia prima e ci presenta l’azienda Pulicaro, anch’essa del Viterbese. Fanno parte della “Brigata Agricola”, una rete di agricoltori e allevatori creata da Gabriele Bonci, con l’intento di incontrarsi periodicamente e scambiarsi esperienze e aiuto reciproco. Anche qui la dolcezza della carne è delicatamente accompagnata da un pizzico di sale, coriandolo, olio e zucchero di canna.
Per chiudere il giro dei quattro tipi di carne principali, invitiamo Roberto ad abbandonarsi, insieme a noi, alle suggestioni di un viaggio in Marocco. Girare per le medine e i souk di Marrakech, Rabat o Fes significa, oltre a stimolare sicuramente vista e udito, portare letteralmente al luna park l’olfatto.
Dai ristoranti più rinomati, ai caffè, alle bettole, ovunque è possibile vedere le tajine, le tipiche pentole in terracotta con il coperchio conico, dentro i forni, oppure poggiate sui carboni, che sin dal mattino iniziano a cuocere lentamente al loro interno ogni tipo di pietanza speziata.
Per il nostro hamburger usiamo carne ovina, nel nostro caso, pecora che condiamo con il Raz el Hanout, una miscela che l’equivalente di un curry nordafricano. In lingua araba significa letteralmente “il meglio del negozio”.
In tutto il nord Africa, ogni droghiere propone la sua miscela esponendola orgogliosamente nel punto più vistoso della bottega.
Può comprendere fino a trenta diverse spezie ed erbe aromatiche, la nostra versione comprende curcuma, coriandolo, pimento, cannella, peperoncino, pepe, cardamomo, zenzero, cumino, finocchio, noce moscata, anice stellato, arancia scorza, fieno greco, alloro. Aggiungiamo i datteri, tritati grossolanamente, mandorle a lamelle, scorza di limone grattugiata, poco sale e coriandolo in foglie.
Scaldare una padella antiaderente o una bistecchiera, adagiarvi l’hamburger, chiudere gli occhi e viaggiare per qualche minuto rimanendo nella vostra cucina.
Un grazie, come sempre, a Bottega Liberati e a Roberto che torneremo presto a disturbare per parlare di marinature.
Grazie ancora a Martina Caroli, che col suo obbiettivo riesce a tradurre odori e sapori in luce e colore.