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L’Emporio e Yogayur: sulla terrazza, odore di spezie marocchine

Non lontano dalla sede dell’Emporio, tra via del porto fluviale e l’iconico gazometro che caratterizza il panorama del quartiere Ostiense, esiste da circa un anno, Yogayur: un’oasi di tranquillità e benessere.

Federico Insabato ideatore di Yogayur, già attivo da diversi anni nella sede del rione Monti, è riuscito, con successo, a dare vita a una realtà che va oltre il concetto di centro yoga. La sede di via Acerbi si sviluppa, infatti, su quattro livelli: il bagno turco con relativa sala per massaggi e trattamenti al piano interrato e, nei successivi due piani, fino alla graziosa terrazza, è possibile usufruire di diverse sale per corsi di yoga, ma anche massaggi, pilates e meditazione.

Al piano terra nasce la collaborazione con l’Emporio, nel bistrot gestito da Cati Briganti, la “cuciniera”, come ama definirsi nella sua interpretazione di alimentazione naturale. Ha un’attenzione speciale alle materie prime, Cati, che proviene dai monti Lepini, nella dimensione intima del bistrot, portando con sé la tradizione contadina e una sua piccola produzione di frutta e verdura.

La selezione dei prodotti utilizzati è molto accurata e nulla è lasciato al caso: tutto arriva da piccole aziende agricole, nel rispetto della stagionalità.

Limitata, ma solo nella varietà, è la scelta di vini naturali e birre artigianali. Non mancano ovviamente le contaminazioni e, in occasione della presentazione dei corsi e le iniziative della prossima stagione, un menù interamente vegetariano è stato ideato, pensando a profumi e suggestioni dal Marocco.

La semplicità arcaica  di elementi come il pane e le olive è stata esaltata dall’Harissa in polvere, resa cremosa da un filo d’olio. L’Harissa è una miscela di pochi elementi, diffusa in tutto il nord Africa: peperoncini, coriandolo, aglio, cumino e sale, se usati freschi, diventano praticamente un pesto da usare ovunque si vuole rinforzare il gusto e la piccantezza di un piatto. In pasta è possibile trovarla in barattolo oppure in tubetti simili a quelli del concentrato di pomodoro, mentre in polvere si può aggiungere praticamente a qualsiasi tipo di piatto.

L’insalata di carote ceci e mandorle è stata arricchita con semi di cumino tostati e polverizzati, per esaltare in modo particolare la frutta secca.

Il coriandolo insaporisce la polpa di melanzane arrostite, e poi ridotte a purea.

 

Il Raz el Hanout è stato utilizzato nel tajine di verdure autunnali: si tratta di una miscela che può contenere fino a 40 differenti spezie. Il suo nome in arabo significa, più o meno, “il meglio della bottega”. Originariamente, infatti, questi mix venivano prodotti direttamente nelle botteghe all’interno dei suq, i quali ingaggiavano una sorta di gara su chi fosse in grado di produrre il condimento migliore. Qualcuno sostiene che non fosse altro che un modo per smaltire le spezie più vecchie: sicuramente un malpensante.

Di fatto sappiamo che ne esistono molteplici versioni, tutte differenti, ma che allo stesso tempo si somigliano. Si tratta di uno degli odori tipici che si possono sentire durante un viaggio in Marocco, non solo nelle cucine delle case e dei ristoranti, ma nei mercati e nelle strade, dove si cucina praticamente in ogni angolo. Anche se dosate in maniera diversa, o con l’aggiunta di ingredienti “segreti”, la composizione del Raz elHanout non può mai prescindere da ingredienti come curcuma, coriandolo, pimento, cannella, peperoncino, pepe, cardamomo, zenzero, cumino, finocchio, noce moscata, anice stellato, arancia scorza, fieno greco, alloro.

 

Una variante afrodisiaca maschile, diffusa tra le popolazioni berbere, prevede anche l’aggiunta di un coleottero, anch’esso essiccato e triturato: la cantaride muschiata.

La terrazza su cui è stata servita la cena è aperta ogni giorno, così come il bistrot, dalla colazione alla cena e può rappresentare una valida alternativa ai ristoranti della zona, non solo per i soci del centro, ma anche per avventori esterni. Consigliatissima per una pausa pranzo salutare e rilassante.

(Foto a cura di Martina Caroli)

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